Mava Chou: quando i commenti sui social sono letali
Maeva Frossard apre il suo canale YouTube nel 2013. Impegnandosi giorno e notte riesce a fare della sua passione una professione: diventa creatrice di contenuti, o YouTuber, come spesso la chiamano. A YouTube segue poi l’apertura di Instagram e Facebook, con i quali raggiunge l’apice del successo.
I contenuti pubblicati dalla ragazza francese riguardano la sua vita di coppia e di mamma. Una storia di quattro figli, e un quinto perduto durante la gravidanza. Lei e il compagno Adriàn decidono di mostrare la loro vita privata al dettaglio sui social network. La popolarità così tanto duramente ottenuta le permette di arrivare alla televisione francese in soli quattro anni.
Poi, il disastro. Nel 2020 il matrimonio finisce, e i due ex coniugi muovono pesanti accuse l’uno contro l’altro. Adrian accusa l’ex moglie di aver maltrattato i figli per ottenere un maggior riscontro mediatico. I Fan si dividono in due schieramenti, e inizia il massacro. Insulti, minacce di morte e provocazioni pervadono i social media di Mavachou.
7 Dicembre 2021. La ragazza, a pochi giorni dal suo compleanno, appare in una trasmissione francese e dichiara di non riuscire a sopportare la situazione che si è creata. Quegli insulti senza pietà che le persone scrivono nei commenti ai suoi video la lascia senza parole.
E, attenzione, perché nel tempo il numero delle persone che segue la giovane mamma influencer si è moltiplicato alla velocità della luce. Contando le varie piattaforme sulle quali è attiva, il numero totale dei follower si aggira attorno ai 300 mila.
300 mila esseri umani che esprimono il loro giudizio su una situazione che non hanno vissuto, e che di fatto non conoscono minimamente. Nella stessa intervista MavaChou definisce le crude espressioni dei follower come indelebili. Chiunque, in futuro, potrà leggere e farsi un’idea di lei come madre degenere che per soldi farebbe qualunque cosa, inclusa la barbarica arte del maltrattamento minorile. Un peso impossibile da sopportare, che la porterà al gesto estremo.
22 Dicembre 2021. La YouTuber e influencer MavaChou si suicida dopo pochi giorni dal suo compleanno nei pressi di Epinal, un comune francese che ospita poco più di 30.000 abitanti. Quanto possono aver influito gli insulti e le minacce del rapporto odio/amore dei follower sull’epilogo della triste vicenda? Purtroppo, molto più di quanto si possa immaginare.
Il caso di oggi è inquietante, ed esprime la forza di un’abitudine che ormai possediamo tutti: quella del commento e della critica online.
Una critica che a volte viene espressa come un vero e proprio insulto. Il suicidio di Mava chu è emblematico: una madre accusata di maltrattamento di minore da… spettatori. Persone che non la conoscevano minimamente.
Se frequenti YouTube o altri spazi digitali, ti sarai senz’altro accorta o accorto che nelle sezioni commenti gli insulti spiccano, e ce ne sono decine, centinaia e migliaia in base alla grandezza del pubblico del canale in questione.
I personaggi che incitano all’odio online vengono chiamati Haters, e lascia che ti dica un segreto: nel mondo reale sono persone normali, persino educate.
Cosa le spinge, allora, a comportarsi in questo modo sul web? Un vero giallo che è possibile indagare con la psicologia, a partire da uno degli studi più famosi della cyberpsicologia degli anni 2000: the online disinhibition effect.
L’autore dello studio, John Suler, analizza le caratteristiche dell’hater e ne identifica un profilo comportamentale completo, descrivendo cinque punti fondamentali che ne contraddistinguono modo di agire e di pensare. Io qui non entrerò nel merito di ogni singolo concetto, ma andrò a toccare i più eclatanti.
Per prima cosa, nel mondo online è semplice indossare le vesti di un Avatar di fantasia, con tanto di foto casuale e nome altisonante. In questo modo si verifica un meccanismo psicologico definito anonimità dissociativa, che rende la persona più disinibita. In poche parole, esprimere insulti sotto falso nome è più facile.
A questo si aggiunga che sul web viene percepita una forte asincronia. Mi spiego meglio: un commento di lunedì può essere visualizzato e quindi ribattuto il giovedì, o addirittura il lunedì della settimana seguente. E l’interfaccia è un computer, un pc o un mac, non una persona fisica.
Esprimere pensieri orribili nei confronti di una persona in video appare molto più semplice rispetto l’insultare una persona in carne ed ossa. Per questo è possibile che atti di body shaming, bullismo e misoginia si verifichino con maggior probabilità online piuttosto che offline.
L’impatto dell’insulto viene percepito dal carnefice come molto meno pesante di quello che realmente è. Per concludere, gli ambienti digitali porterebbero ad una minimizzazione del potere delle autorità competenti.
In pochi infatti sanno che un insulto su un commento di Facebook, se diffamatorio, sarà egualmente punibile dalla legge come un insulto diffamatorio dal vivo con tanto di testimoni. Decine di migliaia di testimoni.
Ovviamente lo studio di Suler è solo uno dei tanti a supporto di tali ipotesi. Per esempio, altri studi sottolineano la correlazione tra assidua frequentazione di spazi digitali e condotte violente tra giovani. Il fenomeno che sottendo è ovviamente il Cyber-bullismo.
Tali ragionamenti, però, non devono indurci a – come diceva mia nonna – fare di tutta l’erba un fascio. Per intenderci, non è detto che possedere un avatar immaginario faccia di noi un hater professionista.
O, al contrario, che chi non possieda alcun social media sia una persona che non insulterebbe, se ne avesse l’occasione.
Ancora una volta, dobbiamo ricordare che si tratta di strumenti. Sarebbe semplice, e forse in parte umano, dare la colpa di tali tragedie al social di turno. Il web ci offre una grande possibilità: quella di esprimere noi stessi. Attenzione però: questo non implica che noi possiamo ferire o offendere le persone che vediamo online.
Le medesime dinamiche che hanno contribuito alla morte di Maeva Frossard sono visibili ogni giorno, sotto anche il più piccolo canale YouTube. Quando stai per commentare, ricordati che non conosci la persona che hai davanti. Non sai quanto le tue parole potrebbero fargli male, o peggio creare in lui pensieri intrusivi di abbandono o autolesionismo.
Quindi, la prossima volta che commenti prova a concentrarti sul comportamento, e non sulla persona. Un piccolo trucchetto psicologico che funziona sempre, e che trasforma i giudizi in critiche costruttive.
E, se devi criticare, fallo portando argomentazioni sensate che supportino la tua ipotesi. Ricorda: rispettare il prossimo è un dovere, anche se non sei d’accordo con i concetti che esprime. Altrimenti potresti ritrovarti, senza volerlo, a far parte di una folla inferocita per la quale qualcuno potrebbe decidere di farsi molto male, se non peggio.