01 Gennaio 2022

Contagio Mortale Mediatico

Ascolta l’episodio cliccando qui sotto!
È tristemente celebre il fenomeno dello spiaggiamento delle balene. Gli enormi cetacei, per circostanze a noi ignote, vengono trovati morenti sulle spiagge del mondo.

Una sorta di suicidio, a volte di massa, come accaduto in Tasmania dove più di 500 esemplari spirarono tra atroci sofferenze in un bagno di sangue.

È un’altra, tuttavia, la balena azzurra che secondo alcuni porterebbe alla morte giovani di tutto il mondo. Accade in assenza di onde, step by step, senza che nessun altro ad eccezione della vittima e del suo curatore sappiano. Cinquanta sfide, per cinquanta giorni… fino alla morte.

Facile entrare, impossibile uscire. Secondo alcuni notizie di cronaca che poi analizzeremo, se un partecipante dovesse decidere di ritirarsi a metà corsa, verrebbe comunque assassinato dagli organizzatori. Ma, fermi un attimo… è davvero così?

Oggi affrontiamo una tematica importante, che ha a che fare con numerosi fenomeni resi importanti dalla stampa tradizionale e il web: cosa si nasconde dietro a Blue Whale?

Questa puntata è speciale, perché come vedremo in seguito cronaca nera ed effetti psicologici si intrecciano in modo del tutto naturale. Chiunque ha sentito parlare di Blue Whale in tutte le salse. In pochissimi, però, sono a conoscenza di quale sia il meccanismo della mente che si attiva in casi simili e di quanto sia pericoloso.

L’opinione pubblica si divide in due: c’è chi pensa al fenomeno della balena azzurra come una bufala, e chi invece manifesta una certa preoccupazione per figli o parenti minori.

Benché sia impossibile arrivare alla verità, è di certo possibile analizzare con cura gli effetti di Blue Whale sulla società, sia che essa esista o meno. Dato che il dibattito è forte, e ancora acceso nonostante siano passati quasi dieci anni dalla prima notizia in merito, andremo ad approfondire entrambi i punti di vista.

Partiamo dai fatti di cronaca: supponiamo che Blue Whale sia un fenomeno reale, e che dietro a quelle notizie esista una schiera di malintenzionati pronti ad adescare minorenni, spingendoli poi all’autolesionismo ed infine alla morte. Esistono dei casi accertati nel mondo? E in Italia?

Il primo, celeberrimo fatto di cronaca mai citato riguarda la russia. Un giovane poco più che ventenne adesca alcuni maggiorenni sul social media russo più utilizzato vkontakzie (all’italiana vcontatke e abbreviato come VK, nel caso volessi cercarlo per curiosità).

Dopo le prime segnalazioni scatta l’arresto. Le notizie esplodono quando i dossier sulle rivelazioni del giovane giungono ai giornalisti: un’organizzazione segreta sarebbe impegnata nel reclutare ignare vittime sui social di tutto il mondo per spingerle al suicidio.

Cinquanta prove, dalla mutilazione alla morte. Il movente? In una parola: pulizia. I malintenzionati, che prendono il nome di curatori, contribuirebbero a rimuovere dall’umanità i più deboli d’intelletto e intenzione, rendendo così il mondo un posto migliore.

Da quel momento le segnalazioni arrivano dai paesi più disparati: inghilterra, stati uniti, sudamerica, africa. In ucraina vengono pubblicati più di 20 casi di suicidio minorile attribuiti a blue whale.

In molti paesi, tranne che in italia. Le autorità, accortesi del problema, intraprendono una serie di campagne atte a sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti dei pericoli del web. Ad oggi, tuttavia, le prove indicano che il gioco blue whale sia stato messo in atto solo in alcuni dei casi citati, ma senza una vera e propria entità centralizzata.

Non esisterebbero, quindi, sufficienti prove a supporto di una setta che spingerebbe i minori all’autolesionismo. Di fatto possiamo però affermare che, dati alla mano, vi siano stati casi di istigazione al suicidio mediante le prove della balena azzurra.

Prendiamo ora in considerazione il parere opposto: blue whale non esiste. Le varie morti imputate ad essa sarebbero in realtà legate ad episodi casuali e scollegati tra loro che le stampe locali e internazionali avrebbero erroneamente attribuito a curatori e tutto il resto.

Come ha dimostrato l’episodio n.3 della stagione in corso relativo a Jonathan Galindo, anche una notizia inventata può contribuire ad uccidere. Si parla di contrasto mediatico ed effetto Werther.

Il contagio rappresenta una delle paure più acute e antiche mai sperimentate dall’essere umano. Il pericolo di un agente patogeno invisibile all’occhio di donne e uomini che si espande a vista d’occhio. Il virus che si ciba di sogni e speranze, potenzialmente mortale o dagli effetti ancora sconosciuti.

E Werther, beh… potrai immaginare. Già…Werther… come quel giovane che nel celebre romanzo di Goethe si toglie la vita perché innamorato di una donna promessa a un altro.

Alcuni giurano che, dati alla mano, l’opera di Goethe avrebbe contribuito a far aumentare il numero di suicidi al tempo della sua pubblicazione. Anche la Blue Whale avrebbe cavalcato il medesimo effetto, con una sostanziale differenza: la forza mediatica.

Tra il 2015 e il 2019 infatti la Blue Whale è sulla bocca di tutti. Dalle testate giornalistiche provinciali alla stampa internazionale, per non parlare dei social media.

Ed è il modo in cui ne parlano i media a generare potenziali problematiche. L’effetto Werther consiste esattamente in questo: nel favorire l’emulazione di condotte comportamentali che grazie ai media tradizionali e non acquisiscono una fama spropositata.

E poco importa che inizialmente tali notizie siano reali o meno: tutti ciò in cui la società crede prima o poi si manifesta.

Nel caso dell Blue Whale, le notizie di cronaca citate nella prima parte della puntata in corso avrebbe potuto ispirare eventuali aspiranti curatori o malintenzionati a farsi avanti, adescando minorenni sul web.

Quindi, ricapitolando… i casi di cronaca citati mostrano che in alcuni paesi come la russia e l’india, il fenomeno Blue Whale sia stato notificato e verificato dalle forze dell’ordine. E, attenzione, non si parla di opinioni, bensì di fatti documentati.

Nella realtà italiana, invece, l’esistenza reale di tale fenomeno rimane in dubbio. Nonostante le numerose notizie in merito, non esistono ad oggi prove inconfutabili di alcun legame tra il movimento Blue Whale e suicidi di minorenni.
Certo… un bel calderone di informazioni. Cosa possiamo portarci a casa? A mio parere, due grandi insegnamenti. Il primo ormai è tristemente noto: il digital e i social non sono “giochi per bambini”.

Il lato oscuro dei social media è immenso: si tratta di software in grado di provocare dipendenza, e di peggiorare le abilità sociali delle persone. A dirlo non sono io – o meglio, non solo – ma la letteratura scientifica psicologica.

Alcune ricerche hanno infatti messo in evidenza in fatto che l’utilizzo massiccio di facebook – denominato problematic facebook use – possa contribuire ad aumentare i tratti depressivi delle persone.

E, si sa, depressione clinica e suicidio non sono poi così lontani. Quindi, non importa che blue whale esista oppure no: i social media vanno utilizzati responsabilmente.

Il secondo grande insegnamento è relativo al riportare alcune notizie: un inutile allarmismo e il gridare allo scandalo potrebbe innescare un contagio mediatico fuori controllo, favorendo l’effetto Werther e quindi l’emulazione di comportamenti pericolosi…