01 Gennaio 2022

Jonathan Galindo: la Face News che uccide

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Napoli, 2020. Un bambino di dieci anni decide di buttarsi dal balcone, forse con l’obiettivo di togliersi la vita. Fatti simili si ripetono a bari l’anno dopo, quando a gennaio 2021 un altro piccolo viene trovato impiccato nella sua cameretta.

Le forze dell’ordine indagano: per molti è istigazione al suicidio. Le testate giornalistiche gridano allo scandalo: dietro alle morti si nasconderebbe Jonathan Galindo, un mostro senza pietà dalle macabre sembianze che spingerebbe i minorenni a togliersi la vita.

Così, grazie a numerose segnalazioni e a video che è possibile trovare tutt’oggi online, inizia una spietata caccia al killer che, tuttavia, si risolve in… nulla. Jonathan Galindo non esiste, dicono in molti. Jonathan Galindo è un’invenzione fantastica del web, che come altre leggende metropolitane infesta la mente dei giovani.

Perché siamo così attratti dai mostri e dai macabri fatti di cronaca nera? Quali sono i meccanismi psicologici che spingono le persone ad informarsi, e a reagire in modo sconsiderato a quelle che ad occhi più attenti sembrano solo fake news? Jonathan Galindo è un’invenzione, oppure dietro a quell’inquietante maschera si nasconde una verità agghiacciante?

La parola persona deriva dal latino, e significa Maschera. Una maschera che caratterizza chi la indossa, e ne plasma comportamenti e modo di pensare. Così, i tratti e le espressioni diventano presagi di intenzioni, e le smorfie assumono connotati ben precisi.

Il volto attribuito a Jonathan Galindo non è altro che una maschera, creata tra il 2010 e il 2014 da Samuel Canini. Intendiamoci: Samuel crea maschere di professione. Prendendo in prestito dal latino il concetto prima citato, si potrebbe dire che Canini crei persone.

Persone che, come in questo caso, vivono poi di vita propria e si trasformano in qualcosa che il loro creatore non avrebbe mai potuto immaginare. Diventano simboli di morte, e di cronaca nera. Così, quell’innocuo travestimento simile a pippo, celebre personaggio della Disney, che avrebbe dovuto strappare ingenue risate diventa simbolo di morte.

Ed è lo stesso Samuel, il 3 luglio del 2020 con un tweet su Twitter ad oggi ancora pubblico, a prendersi la responsabilità più grande, scrivendo queste parole:

“Ciao a tutti. Questa follia di Jonathan Galindo sembra stia terrorizzando moltissimi giovani impressionabili. Le foto e i video sono miei dal 2012-2013. Erano stati prodotti per mie motivazioni personali, e di certo non per impaurire o bullizzare persone.

Se ricevi messaggi da persone sconosciute che vogliono iniziare a giocare, di qualunque gioco si tratti, non accettare. Non lasciare che questi entrino nella tua vita. Questo mondo ha abbastanza problemi, e soffrire o farsi del male per il piacere di altri non dovrebbe essere uno di questi.

Io sono solo un uomo, non posso controllare internet. L’unica cosa che posso fare è metterti in guardia contro i bulli e i malintenzionati”

Secondo voci di corridoio, chi diede un nome e una caratterizzazione orrorifica alla maschera di Samuel, poi conosciuta con il nome di Jonathan Galindo, avrebbe avvicinato sul web numerosi minorenni poi ricattati.

Se i ragazzini non avessero svolto i compiti che Jonathan impartiva, avrebbero visto i loro segreti e i loro dati personali pubblicati online, dove chiunque avrebbe potuto vederli e appropriarsene. Come è possibile immaginare, Galindo spingerebbe le vittime a Challenge sempre più difficili, fino alla sfida finale: il suicidio.

Ora, sorge spontanea la domanda: i fatti di cronaca nera citati potrebbero, in qualche modo, essere ricondotti a Jonathan Galindo in persona?

Purtroppo no. Certo, sul web come nella vita reale sono presenti malintenzionati che farebbero di tutto per fare del male, per i motivi più disparati. Ciò che appare chiaro, tuttavia, è che quella dell’uomo con l’inquietante maschera di Pluto è solo un Creepypasta, ovvero un racconto inventato che grazie a condivisioni su blog, social media e chat, finisce per ottenere una fama smisurata. Perché questo accade così spesso?

Già, perché oltre al caso di oggi è possibile trovare numerose leggende diventate poi reali perché condivise con insistenza, come la bambola Momo o Blue Whale.

Tutto ciò che non pubblichi online non esiste, dicono i marketers di quest’epoca per convincere nuovi clienti ad affidarsi a loro. Allo stesso modo, ciò che pubblichi, anche se non esiste nella realtà, può comunque esistere. Prima online, e poi nel mondo reale.

In quanti, ben consci della completa infondatezza di Galindo, testimonierebbero di averlo visto? Al supermercato, fuori da una discoteca all’alba, o in paesi desolati ai confini di zone poco abitate.

Secondo Oksana Kyrylova, i creepypasta si tramuterebbero in realtà a causa dei numerosi feedback espressi dagli utenti online. Feedback comunicanti emozioni forti, che stuzzicherebbero la curiosità di altri utenti.

Si instaurerebbe così un circolo –vizioso o virtuoso? Lascio a te la definizione – nel quale sempre più utenti appartenenti a specifiche community vengano persuasi, e persuadano, altri a documentarsi.

D’altra parte, il detto “la curiosità è contagiosa” vanta solide basi scientifiche. Le nostre azioni e decisioni vengono influenzate dal contesto sociale nel quale viviamo. E, come accade nel caso di Jonathan Galindo, è la curiosità del macabro a spingerci nel parlarne, permettendo ad un personaggio mai realmente esistito di vivere nelle nostre menti.