L’oscura sagoma dell’artista Keisuke Aisawa si stagliava contro la luce del laboratorio, mentre le sue dita afferravano quella che era senza dubbio la sua opera più orrenda e famosa.

“Mother Bird”, o come il mondo aveva imparato a conoscerla, “Momo”. Aisawa aveva modellato la creatura con amore, un tributo all’arte, alla bellezza dell’inquietante. Non avrebbe mai potuto immaginare che il suo lavoro sarebbe stato in grado di…uccidere.

Momo. Un nome che, incutendo paura nei cuori di adulti e bambini, era diventato un incubo digitale, un mostro della modernità, un flagello della rete. I suoi occhi sbarrati e la bocca beffarda erano diventati simboli di terrore e morte…

Nascita e morte della bambola Momo

L’artista rimase fermo ad osservarla. Così, in mezzo a tutte le altre sue creazioni, non sembrava né la più terrificante, né la più particolare. Si chiese perché, nonostante questo, fosse divenuta così virale.

Le storie che si susseguivano sul suo conto, sul gioco mortale che era stato scatenato, e che era costato la vita a molti, erano assurde. Incredibili.

“Non era questo che volevo,” mormorò Aisawa, le sue mani scivolando sulla superficie fredda della statua. “Non era questo.”

Decise che era giunto il momento. Doveva porre fine all’incubo, distruggere la creatura che aveva creato, mandando così al mondo un messaggio importante, potente. L’artista, con un gesto fisico, intendeva spezzare una credenza intangibile… voleva uccidere la leggenda metropolitana che inconsapevolmente aveva creato.

Ma come distruggere qualcosa che si era infiltrata nel tessuto stesso della società, che era diventata parte di quel mondo a molti invisibile, che si cela sotto la superficie dell’esistenza?

Con un sospiro pesante, afferrò un martello. I suoi occhi erano fissi sulla figura di Momo, il suo volto un maschera di risolutezza.

Il primo colpo fu il più difficile. Sentì la resistenza dell’argilla, il suono sordo del martello che colpiva la figura. Ogni colpo successivo fu più facile, come se stesse liberando non solo se stesso, ma il mondo, dal male che aveva involontariamente scatenato.

Pezzo dopo pezzo, la bambola Momo fu distrutta, i frammenti sparsi per il pavimento del laboratorio. Alla fine, non rimase nulla della figura originale. Solo un mucchio di argilla.

Aisawa guardò i resti della sua creazione, il peso sul suo cuore leggermente alleviato. Non sapeva se la sua azione avrebbe fermato il mostro digitale che aveva contribuito a creare, ma sapeva che aveva fatto quello che doveva.

La notte seguente, l’uomo dormì senza sogni, senza incubi. Ma l’eco di Momo, la creatura che aveva creato e distrutto, sussurrava ancora nell’oscurità, un ricordo di un orrore nato dall’arte e sviluppato dalla tecnologia, che viveva ancora nel cuore dell’oscurità digitale.

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La “Momo Challenge”: mito o realtà? 

Immagina di avere alcuni amici che, conoscendoti bene, sanno quanto la tua vita sia tremendamente noiosa. Anzi, tu stessa ti lamenti in continuazione, affermando spesso che vorresti provare qualcosa di diverso per sentirti… viva.

Uno di questi, conscio della situazione, ti fa una confidenza. Da poco ha iniziato a giocare… si tratta di una roba diversa. Di una sfida mozzafiato dove si corre il rischio di… farsi male.

Però, appunto… tutti sanno che rischiare fa sentire vivi. Dopo un paio di giorni ricontatti il tuo amico su whatsapp, ti piacerebbe provare. Lui ti condivide un contatto in chat.

Si chiama Momo, e come immagine profilo ha un volto spaventoso, quasi come fosse…artificiale. Incalzata dal tuo amico, digiti il primo messaggio, scrivendo che vuoi partecipare alla Challenge.

La risposta non tarda ad arrivare: le richieste del contatto misterioso sono, inizialmente, semplici, come passeggiate senza torce in luoghi bui. Poi, quasi senza accorgersene, le richieste diventano più… pericolose. Fino a quando Momo non chiede di salire sul tetto di casa tua, e di saltare giù. Tu rispondi che non lo faresti mai. Allora, quel misterioso contatto inizia a ricattarti, dicendo che sa tutto di te. Sa cosa hai fatto, e non esiterà a rendere tutto pubblico.

Quella che sembra una storia appartenente ad un film horror è invece un’esperienza reale vissuta da molti. E alcuni suicidi tra gli anni 2018 e 2020 sembrerebbero, secondo la cronaca, scatenati da questo fenomeno.

Ed eccola qui, signore e signori, la Momo Challenge! Un contenuto divenuto virale online attorno al 2018. L’immagine spaventosa del contatto whatsapp è stata poi additata col nome di “bambola Momo” .

I pericoli sul web

La bambola Momo, tuttavia, non si chiamerebbe esattamente così. Si tratta in realtà di un’opera d’arte chiamata “Mother Bird” creata dall’artista giapponese Keisuke Aisawa. L’opera, che rappresenta una figura spettrale con gli occhi sbarrati, il viso da donna e un corpo deforme con zampe da uccello, è diventata virale quando è stata collegata a questo presunto gioco.

Un fenomeno simile a Blue Whale, e totalmente sovrapponibile alla leggenda metropolitana di Jonathan Galindo. Per chi non avesse ascoltato l’episodi su Galindo, riprendiamo brevemente alcune informazioni chiave, utili anche per comprendere il fenomeno Momo.

Jonathan Galindo sarebbe un personaggio che contatterebbe le persone online, proponendo una challenge con un triste epilogo: il suicidio della persona stessa. Cercando online, è possibile trovare foto di Galindo, che si mostra sempre indossando una maschera da personaggio disneyano, con tratti inquietanti.

In realtà, le immagini sono state rubate all’artista Samuel Catnipnik, poi utilizzate da malintenzionati che hanno di fatto creato la fake news, e secondo alcune fonti, avrebbero spinto al suicidio persino nostri connazionali. Per gli interessati, lascio la puntata in descrizione.

In entrambi i casi, da un fenomeno reale vengono generati due fenomeni di fantasia, divenuti leggende metropolitane. L’informazione originale viene distorta, creando un falso mito, una fake news che però porta a tragedie. A fatti di cronaca nera… o almeno, così sembrerebbe.

Le prove dell’esistenza di malintenzionati dietro al fenomeno Momo

Se stai cercando prove inconfutabili sul legame tra alcuni fatti di cronaca nera e Momo, beh… mi spiac deluderti ma ad oggi non ci sarebbero prove concrete che tale gioco abbia causato danni reali.

Nonostante l’infondatezza, è lecito supporre che la paura e l’isteria intorno a Momo potrebbero essere molto più dannose per i giovani vulnerabili che il presunto gioco stesso.

Ed è esattamente qui che voglio arrivare. Non importa se il fenomeno sia reale o meno, ma quanto le persone ci credano. E, come per magia, qualcosa che non esiste prende vita… sul web.

L’isteria di massa è un fenomeno psicologico in cui un gruppo di persone manifesta un comportamento collettivamente irrazionale. Questo comportamento può essere causato da miti, leggende o notizie false, e può portare a reazioni esagerate o inappropriate alla percezione di una minaccia.

Queste percezioni possono essere alimentate dai media, da voci o da altre fonti di informazione spesso imprecise.

Così, come avrai compreso, fenomeni come il Blue Whale, “Momo” o “Jonathan Galindo” sono esempi di come le notizie false e la paura possano diffondersi attraverso i media digitali, causando panico e ansia tra i genitori e i giovani.

In questi casi, l’isteria di massa viene alimentata da voci non confermate, rapporti esagerati o interpretazioni errate delle informazioni disponibili.

È importante rimanere critici nei confronti delle informazioni che riceviamo ogni giorno, soprattutto quando queste ultime sembrano causare panico o paura. È sempre utile cercare fonti affidabili e confermare le informazioni prima di agire o diffondere ulteriormente le notizie.

E già… so a cosa stai pensando… Ciò che ti dico è logico. Allora dimmi… prima di credervi, ti sei accertata o accertato della veridicità dell’ultima news che hai letto online, oppure l’hai inviata su whatsapp ai tuoi amici per commentarla?

Si tratta di un meccanismo normale… è normale, in prima battuta, credere alle fake news. Ciò che devi tenere a mente, però, è che se condividi una notizia falsa, stai contribuendo al suo sviluppo.

La prossima volta… fermati a pensare, verifica da fonti affidabili, e se non ne hai la massima certezza, o non hai tempo di informarti… non condividere.

Così facendo, potresti contribuire ad evitare l’esplosione della prossima Challenge…

Punti chiave da ricordare

    • Origini artistiche e distorsione online: la bambola Momo ha radici artistiche, ma è stata trasformata in un simbolo di terrore digitale.
    • Impatto dei social media: la rapidità della diffusione del fenomeno Momo dimostra il potente impatto dei social network.
    • Protezione dei minori online: è cruciale educare e proteggere i giovani dalle minacce digitali.

    Questo approfondimento su Momo rivela come un oggetto d’arte possa trasformarsi in un fenomeno di cultura pop che solleva questioni importanti su sicurezza, legalità e responsabilità sociale nel mondo digitale.